Dinamiche educative

Castelli di rabbia: la fragilità di una generazione cresciuta da sola

La trasmissione valoriale, intesa come patrimonio da trasferire alle nuove generazioni, negli ultimi decenni è stata spesso delegata alle innovazioni tecnologiche e mediatiche.
Destreggiarsi nei meandri di un argomento così coinvolgente non è semplice, perché la tematica riguardante la violenza ci raggiunge quotidianamente, nostro malgrado, espressione di un malessere radicato nel profondo e che si manifesta attraverso la sopraffazione e l’eliminazione dell’altro.
La violenza “in genere” si declina infatti in ogni ambito della nostra quotidianità, dal mondo virtuale a quello reale, dagli haters alla scuola, dalla famiglia ai luoghi di lavoro: deflagra in tutte le sue sfaccettature, avvolgendoci e attanagliandoci in tutte le sue forme.
Chi si nutre di prepotenza non si addentra nei paesaggi emotivi delle altre persone, ma per camuffare la propria debolezza veste i panni del più forte. Così il bullo mette in atto comportamenti generanti sofferenza e in questo modo viene aiutato a mitigare il proprio dolore, spesso indicibile e che nasconde un grande complesso di inferiorità.
Di contro, la fragilità continua ad essere percepita nell’immaginario collettivo con una connotazione negativa e non come qualcosa di prezioso da proteggere e salvaguardare.
Parole come attenzione, rispetto, tenerezza e fragilità, scoloriscono di significato, un potente errore culturale, ci porta verso il concetto di possessione assoluta, l’identità dell’altro evapora, rimanendo solo l’urgenza di rispondere al bisogno di soddisfare il proprio impulso di dominazione.
La mia generazione sta facendo i conti con lo sbaglio madornale di non aver insegnato ai giovani ad intessere relazioni ricche di significato, sepolti da attenzioni materiali, non li abbiamo abituati ad intrecciare legami affettivamente solidi, ci si prende e ci si lascia online, poiché tutto deve passare da uno schermo, se ciò non accade diventi invisibile, inesistente, nullo. Annullare gli altri diventa un gioco pericoloso, che gradatamente ci allontana da tutto, facendoci smarrire la bellezza naturale dello stare insieme, del volersi bene, dal cerchio di un abbraccio che sprigiona calore, al tepore della comprensione, vicinanza, gratitudine e amore verso la vita di ognuno di noi.

 di Maria Teresa Amato
Psicologa