Attualità

Mattarella bis: una riflessione sull’elezione del Presidente della Repubblica

Né Draghi né figure super partes al Quirinale. Tutto rimane com’è, ma solo in superficie. In verità invece le coalizioni di centrodestra e centrosinistra si sono praticamente rotte. Ogni mediazione tra partiti che riguardasse lo spostamento del presidente del Consiglio Mario Draghi al Quirinale o l’individuazione di una figura terza super partes è fallita. La conclusione della elezione del Capo dello Stato è l’epilogo di una legislatura estremamente sofferta e di un sistema politico in decomposizione. A destra, l’ascesa di Giorgia Meloni, leader dell’unico partito all’opposizione del governo Draghi, Fratelli d’Italia, ha costretto Matteo Salvini a un doppio gioco equivoco: al governo con una maggioranza di unità nazionale, ma a tutte le elezioni come coalizione di centrodestra. Mentre Meloni puntava con Salvini su un modello maggioritario e sulla ricostruzione della vecchia alleanza di centrodestra, con l’obiettivo di elezioni quanto prima, il partito di Berlusconi e la galassia centrista hanno virato verso il proporzionale e vogliono a tutti i costi il proseguimento della legislatura.
Non meno complessa la situazione di sinistra. Il Pd restava il perno principale mentre il Movimento 5 stelle arriva diviso tra una leadership mai decollata, quella di Giuseppe Conte, e una prepotenza conquistata sul campo di Luigi Di Maio. Quest’ultimo è sempre stato convintamente governista, vicino a Draghi, fautore della stabilità della legislatura e ambiguo rispetto all’alleanza strutturale con il Pd.
In questo gioco si inserisce Italia viva di Renzi, partito quasi inesistente sul piano del consenso, ma fondamentale per il centrosinistra sul piano parlamentare. Formazione che nel corso del 2021 ha votato spesso in Parlamento insieme a Lega e Forza Italia, che vuole arrivare alla fine della legislatura e ambisce al ruolo di ago della bilancia tra i due poli in un nuovo sistema proporzionale. Da ultimo, sul Parlamento pende una riforma costituzionale originata dall’antipolitica. Dalla prossima legislatura i membri del Parlamento passeranno da 945 a 600, con notevole riduzione di possibilità di essere rieletti per un gran numero di parlamentari. Queste sono le condizioni di partenza della corsa alla presidenza della Repubblica, a cui si aggiunge l’attivismo degli ultimi mesi di Mario Draghi, il quale ha lasciato intendere alle forze politiche di avere come obiettivo l’ascesa alla presidenza della Repubblica. Tuttavia i peones di tutti i partiti non vogliono mandare Draghi al Quirinale perché lo ritengono troppo rischioso, temono che possa mancare un accordo sul nuovo governo che apra una via alle elezioni anticipate.
Il “Parlamento profondo”, quello dei deputati e dei senatori che temono di non essere rieletti e di terminare la legislatura prima del tempo, manifesta segnali chiari: lasciare tutto com’è o, in ogni caso, non mettere a rischio maggioranza e governo. Di fronte all’impossibilità di un accordo per l’elezione di Draghi, che presupporrebbe un pregresso accordo sul nuovo governo, e bruciate tutte le altre carte super partes, i partiti non possono che convergere sul bis di Mattarella.

Dunque, tutto rimane com’è, o almeno così sembra in superficie. Un trionfo della stabilità che può andare bene ai mercati finanziari e all’Unione Europea. La realtà, però, è ben più complessa dell’apparenza. Draghi esce da questo percorso con una maggioranza indebolita e fratturata. Partiti maciullati. Governare in modo incisivo sarà molto complicato per il Presidente del Consiglio. Il presidente della Repubblica è costretto ad accettare un secondo mandato che non avrebbe voluto: “accetto per senso di responsabilità”. Le due coalizioni di centrodestra e centrosinistra si sono rotte.

Il futuro del Presidente del Consiglio oggi è più incerto. Arriverà alla fine della legislatura, ma è difficile fare pronostici ulteriori. Tuttavia, con questo livello di disgregazione politica e istituzionale, il futuro è incerto per tutti gli attori sulla scena, Draghi incluso.
Il senso di vivere la politica come servizio e non come lavoro pare non appartenga proprio a tutti i protagonisti di questa pagina politica italiana.

di Angelo Cambiano