Cultura

Qualcuno volò sul nido del cuculo

Pellicola del 1975 di Miloš Forman, tratto dall’omonimo romanzo di Ken Kesey, questo capolavoro è uno dei tre film della storia del cinema ( insieme a “Il silenzio degli innocenti” e “Accadde una notte”) ad aver vinto i cinque Oscar delle categorie principali: miglior film, miglior regia, miglior attore, miglior attrice e miglior sceneggiatura non originale.

Questo film tratta un argomento molto delicato quale il disagio presente negli ospedali psichiatrici, denunciando i metodi decisamente poco ortodossi al limite dell’umano, utilizzati nelle strutture statali.

Randle Patrick McMurphy è il protagonista della nostra storia, colui che volò nel nido (l’espressione “nido del cuculo” veniva utilizzata spesso nel gergo statunitense per indicare un manicomio), carcerato che viene mandato nell’ospedale psichiatrico per verificare la sua presunta pazzia, ma pazzo sicuramente non è, o almeno non clinicamente. Lui stesso durante un colloquio col direttore dell’istituto, cerca di definire il suo status:
“E adesso io sarei pazzo per loro, solo perché non sto lì tranquillo come un fottutissimo e immobile vegetale, non ha il minimo senso secondo me… se questo vuol dire essere pazzo, beh allora io sono un rimbambito, toccato… si, tutto quello che volete!”.

La presenza di McMurphy all’interno della struttura, sposta decisamente gli equilibri, non ci mette molto a diventare il leader del gruppo di pazienti con i quali si trova in terapia, conquistandosi l’inimicizia della caporeparto, l’infermiera Mildred Ratched (Louise Fletcher).
In questo film, ci troviamo nella classica situazione in cui si fa il tifo per quello che viene comunemente chiamato antieroe: nonostante il suo passato criminoso, McMurphy è l’unico che tratta quelli che sono i suoi compagni d’istituto, con la più semplice ma anche a volte rude, normalità, facendogli vivere delle divertenti ma anche malinconiche avventure.

La storia avrà un epilogo quanto mai triste, ci chiede di non aver paura di chi è considerato diverso da noi e cercare di essere i più “normali” possibili, se veramente vogliamo contribuire a rendere la loro vita meno complicata di quanto già non lo sia.
La “normalità” non è altro che la più semplice delle cure per aiutare chi meno fortunato di noi è costretto a convivere con un malessere mentale.

di Nicolò Siino