Ecclesialità

Più che credenti, credibili! sui passi di Rosario Livatino

«La potenza del Signore crocifisso e risorto porrà su un candelabro di luce questo fratello innocente, umile e silenzioso», con queste parole si espresse, durante l’omelia, l’arcivescovo Carmelo Ferraro il giorno dei funerali del giudice Rosario Livatino, svoltisi il 23 settembre 1990 presso la chiesa San Diego di Canicattì. Rileggere oggi queste parole suscita certamente un’emozione particolare, alla luce degli sviluppi che ha avuto l’omicidio del giudice Livatino, prossimo beato, la sua testimonianza di vita ci interpella fortemente e ci spinge a diverse riflessioni, colgo quindi l’occasione per formularne qualcuna.
Perché la chiesa ha deciso di proclamare beato il giudice Rosario Livatino?
La Chiesa cattolica con l’atto di beatificazione intende riconoscere in Rosario Livatino l’ascensione sicura al paradiso, la capacità di intercedere per i fedeli e l’autorizzazione al culto, limitato ad una determinata diocesi. Attraverso questi tre passaggi la chiesa pone ufficialmente il beato come modello da poter imitare per giungere a Cristo.
Quale testimonianza utile alla nostra vita di fede potrebbe offrirci il prossimo beato?
Rosario Livatino ha vissuto in punta di piedi il suo breve passaggio sulla terra: un uomo riservato e silenzioso, dedito con grandissima serietà al suo dovere.  La sua testimonianza di santità risiede, infatti, nell’avere svolto con amore straordinario cose ordinarie, nell’avere portato il Vangelo all’interno della sua vita quotidiana con estrema semplicità. Colpiscono certamente tanti piccoli gesti, frutto della sua intima unione con Dio, la visita quotidiana al Ss. Sacramento prima di recarsi in tribunale, la dignità con cui trattava i condannati alla fine di ogni sentenza, stringeva loro la mano e li accompagnava alla porta, la dedizione nello svolgimento del proprio dovere, non tenendo conto di vacanze o esigenze personali. Rosario Livatino è riuscito ad incastonare perfettamente fede e diritto, Vangelo e codice.
Martire della giustizia e indirettamente della fede?
A Rosario Livatino è stato riconosciuto il martirio in una forma particolare: il suo essere stato ucciso per la giustizia è infatti inscindibile rispetto alla dimensione di fede con cui ha vissuto il suo dovere, per questo, usando nuovamente le parole di mons. Carmelo Ferraro durante l’omelia dei funerali: «Il Signore risorto parteciperà a questo fratello innocente la potenza della sua croce, al venerdì santo seguirà inesorabilmente la pasqua del Signore, questo delitto non sarà l’ultima parola». A distanza di trent’anni, tutti noi possiamo essere testimoni di come, nella vicenda di Rosario Livatino, la vita abbia trionfato sulla morte, aprendo prospettive nuove che solo nella logica di Cristo trovano senso pieno.
«La verità germoglierà dalla terra e la giustizia si affaccerà dal cielo» Sal 85,12.

di Francesco Traina